Bergamo e Covid, quel 18 marzo e i camion militari che cambiarono tutto

Era il 18 marzo, e per la prima volta l’Italia e forse l’intero mondo occidentale si rendevano conto di che cosa era davvero il Coronavirus. Il lockdown era già in corso, ma il pericolo era invisibile. La minaccia era fantasma. Eravamo chiusi in casa, cantavamo “Ce la faremo”. E ci proteggevamo. Non avevamo ancora capito bene da cosa, però. Quindi arrivarono le foto da Bergamo.

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Quella notte di marzo che cambiò ogni cosa

Era notte, la città appariva ferma e deserta. Ma un ampio viale (che chi frequenta il capoluogo orobico poteva riconoscere in via Borgo Palazzo) vide la normalità squarciata in pochi istanti. In uno scenario da film apocalittico, o da territorio di guerra. Bergamo fu tagliata a metà da una colonna di camion militari, chiamati a un triste compito: portare lontano delle salme. Erano le vittime del Coronavirus. E in quel 18 marzo 2020, ormai era uno straziante dato di fatto, la camera mortuaria del cimitero cittadino non riusciva più a ospitarle tutte. E lo stesso discorso andava applicato al forno crematorio. Per non parlare di agenzie funebri e servizi cimiteriali, ormai non più in grado di controllare un flusso inarrestabile.

Erano i giorni in cui si parlava di “Wuhan italiana”: Bergamo era diventata nel Paese la provincia più colpita dal Coronavirus. E l’Italia, a sua volta, era il Paese più colpito d’Europa. Tutto il mondo guardava, e tutto il mondo osservò quel funereo corteo di camion militari. Ben presto la cittadina lombarda, nota e talvolta canzonata dentro i confini nazionali per la propria laboriosità, la propria tradizione nell’edilizia, le proprie tradizioni culinarie legate alla farina di mais, avrebbe attirato la stampa internazionale. Viaggio nell’occhio del ciclone del Covid. Alla scoperta della città che il virus ha fermato. E così via. Inglesi, francesi, americani, australiani, giapponesi. Tutti volevano sapere: cosa succede laggiù?

Bergamo: il ricordo a un anno dalla colonna dei camion militari

Oggi è passato un anno, ma è impossibile dimenticare. Il 18 marzo è divenuto la Giornata delle vittime del Covid, e in città sono attesi il presidente del Consiglio, Mario Draghi, e il presidente di Regione Attilio Fontana. Tante le manifestazioni, dall’inaugurazione del Bosco della Memoria (con la piantumazione di 100 alberi) al Parco della Trucca fino a svariate cerimonie che finiranno in serata. Nel mezzo la deposizione di una corona di fiori alla presenza di Draghi. Succederà al Cimitero monumentale di Bergamo, proprio quello da cui un anno prima erano partiti i mezzi militari carichi di quelle anime spezzate. Quei cuori che avevano smesso di battere. Tutte quelle storie interrotte all’improvviso, e che il Coronavirus nella sua spietatezza aveva portato via ai propri cari negando loro perfino l’ultimo abbraccio terreno.

Bergamo ha pianto tanto, in quel cupo e beffardamente soleggiato marzo 2020. Nel suo attonito silenzio sentiva il resto del Paese urlare “Ce la faremo”, ma non aveva fiato. Si strinse quindi intorno al #MolaMia, la cui traduzione più fedele è un “Non mollo mica” (ancora meglio, “Non mollare mica“) che comunque fa perdere qualche sfumatura al significato più profondo dell’esclamazione. La città sapeva che avrebbe ripreso respiro, e nella Lombardia tutt’oggi martoriata dal Covid è diventata nel frattempo tra le province dai numeri meno drammatici. Non ha mollato, non l’ha fatto. Ma prima di poter riprendere a sorridere, ne dovrà passare ancora tanto di tempo. E di acqua, sopra il gelido asfalto di via Borgo Palazzo. Quello che, metaforicamente, ha raccolto un anno fa le lacrime di tutta la città, e tutto il Paese.

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