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Ad “Emoticon, opinioni a confronto” di Andrea Pamparara, l’ospite di questa puntata è Pierluigi Frassineti genitore, autore, socio di ARA – Associazione Risorse Autismo e fondatore di FIDA – Forum Italiano Diritti.
L’Autismo è uno di quei nodi che vengono al pettine spesso e solo il 2 aprile e poi lasciano irrisolte le condizioni di chi li vive. Soprattutto per un motivo: l’Autismo è vissuto sempre e comunque come un problema e MAI come un’opportunità. Opportunità per crescere come tessuto sociale, per maturare come collettività, per imparare cosa è davvero l’ALTRO. In definitiva per diventare una società matura che conosce le proprie molteplici facce e molteplici anime. L’autismo un problema enorme lo è, ma forse non per i comportamenti delle persone autistiche bensì per quello che essi sono condannati a vivere.
Si tratta di un problema che logora innanzitutto chi non lo comprende. E fra questi, sottolinea Frassineti, ci sono purtroppo i genitori, non abbastanza preparati a confrontarsi con la neurodiversità, che sembra un fulmine divino sulle loro vite. E non abbastanza protetti. Non dispongono di un paracadute sociale, un ombrello assistenziale sufficiente. Non hanno un piano B e, la scoperta orribile, è che non hanno nemmeno il piano A. Sono soli, o lo diventano col tempo.
I problemi ci sono eccome. Ad esempio le comorbidità che tante persone autistiche soffrono e che le rendono diverse due volte. Nel 2020 è scoppiata la pandemia che tutti conosciamo. Il Covid 19 è diventato Covid 20, poi 21 e poi chissà. La pandemia non ha fatto altro che generare un ulteriore strappo sociale: persone autistiche, bambini autistici, adulti, interi nuclei famigliari reclusi in casa o in strutture che sono diventate prigioni. Noi siamo rapidamente diventati emergenza nell’emergenza. Figli e figlie, fratelli o sorelle che, come gli anziani, sono costretti a detenzione coatta nelle case, nelle residenze sociali per disabili, senza possibilità di contatto, di attività occupazionali, terapie. E chi conosce minimamente l’autismo sa che è la peggiore condanna.
Le cause sono conosciute: la geografia dell’assistenza è frantumata come e peggio di prima. Parcellizzata nelle Regioni e nei vari settori (lavoro, scuola etc). La geografia dei diritti è allo stesso modo diversificata e incoerente. Noi viviamo l’incredibile paradosso di leggi lungimiranti che vengono puntualmente frustrate da vincoli di bilancio che vengono utilizzati per negare le misure radicali capaci di rispondere ai bisogni. E allora è chiaro che tutto il sistema spinge verso la limitazione dei diritti. Senza diritti non è concepibile soddisfare i veri bisogni della disabilità. Oggi, 2 aprile, per rappresentare l’autismo si mostra un puzzle, ma qui il vero puzzle è impersonificato dalle governance regionali, dal mancato riconoscimento dei diritti e dei bisogni che ne discendono.
Allora quali sono le nuove sfide? L’inclusione, quella vera, che mette in primo piano la persona da accogliere e non il contesto. La figura del caregiver, non riconosciuta. Il Budget di salute, che concorre concretamente alla creazione di progetti individuali di vita – aggiornabili e flessibili. La consapevolezza dell’autismo, di cui si parla sempre nella Giornata del 2 aprile. Ma in primo piano c’è anche la sfida legislativa: cambiare i vincoli di bilancio che limitano pesantemente buone leggi. La sfida della reale integrazione fra sanitario e sociale. Ed infine il riconoscimento della diversità che si sviluppa attraverso la cultura e la conoscenza, la formazione e il rispetto delle differenze, la garanzia di pari opportunità.
La questione del DIRITTO torna qui in modo travolgente. L’appello di tante anime, di tante associazioni, è quello di evitare banalizzazioni cosmetiche, cerimonie di facciata ed invece parlare di diritti esigibili, di cambiamento reale: garantire i diritti e lottare per quelle sfide di cui sopra cambiando radicalmente le regole del gioco che vedono le persone autistiche (non “soggetti”, non “malati”, non “speciali”), le famiglie o chi li rappresenta relegati a un ruolo passivo, e insieme negoziare con loro un presente e un futuro più equo, aumentando la consapevolezza dei contesti sociali in cui viviamo per renderli davvero inclusivi e non solo a scapito della loro sensibilità. “Non vogliamo tornare alla normalità, perché la normalità era il problema!”.
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