Che cosa si intende per abbandono degli animali? A livello giuridico (e non solo) si intende l’intenzionale allontanamento di un animale domestico o d’affezione del quale si è responsabili.
Solitamente l’animale in questione viene liberato in luoghi dai quali si prevede non si possa riavvicinare all’abitazione nella quale era tenuto e l’abbandono, se non è fonte di incidenti stradali, può portare al randagismo e alla conversione dell’animale alla vita selvatica.
Questa pratica, che avviene spesso nel periodo estivo in coincidenza delle ferie, è ritenuta riprovevole e pericolosa da gran parte della popolazione, in particolare da associazioni e movimenti animalisti e, negli ultimi anni, sono state allestite strutture pubbliche locali con compiti di sensibilizzazione e prevenzione del fenomeno.
È sbagliato pensare che l’abbandono riguardi esclusivamente cani e gatti, poiché di recente ha colpito anche le specie esotiche, la cui detenzione è stata sottoposta a regolamentazione severa che comprende il divieto di detenzione di alcune specie e l’obbligo di denuncia di altre consentite.
Molti rettili sono abbandonati nei giardini e nei parchi pubblici, o nei corsi d’acqua, causando conseguenze negative alla fauna selvatica locale.
In Italia l’abbandono è vietato ai sensi dell’articolo 727 del codice penale, che al comma 1 recita Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro.
La ratio legis di questa norma è stata rinvenuta da parte della dottrina nella tutela del sentimento umano, che è offeso dal maltrattamento o abbandono degli animali, e dal Consiglio di Stato nella diretta tutela, “adeguata all’evoluzione dei costumi e delle istanze sociali”, degli animali “da forme di maltrattamento, abbandono ed uccisioni gratuite in quanto esseri viventi capaci di reagire agli stimoli del dolore”.
La Dichiarazione universale dei diritti dell’animale sancisce all’articolo 6 che “l’abbandono di un animale è un atto crudele e degradante”.
Secondo il Ministero della Salute italiano “chi abbandona un cane, non commette esclusivamente un illecito penale (Legge 20 luglio 2004, n. 189), ma si potrebbe rendere responsabile di omicidio colposo”, quando gli animali abbandonati provocassero incidenti stradali mortali.
Inoltre lo stesso Ministero, a proposito delle ragioni dell’abbandono, esorta a una più accorta gestione della fertilità dei propri animali d’affezione, dunque “compiere un’attenta gestione della vita riproduttiva del proprio animale, per non incrementare il numero degli abbandoni determinati da cucciolate indesiderate e di difficile collocazione”.
La Suprema Corte di Cassazione ha condannato la proprietaria di alcuni gatti perché, partendo per le ferie, li aveva lasciati a una persona incapace di accudirli (Cass., sent. n. 32157 del 16 novembre 2020).
Secondo i Supremi Giudici, la signora li avrebbe dovuti affidare a una struttura adeguata e non ai figli minorenni che, disinteressandosi completamente degli animali, avevano fatto in modo che gli stessi versassero in condizioni di scarsa nutrizione e igiene (lettiera satura di feci e urina, pavimento sporco, acqua stagnante nella ciotola).
Secondo la Suprema Corte, le gravi sofferenze che integrano il reato di abbandono di animali non devono essere intese come condizioni che possano determinare un processo patologico, ma anche semplici patimenti.
Rilevano non esclusivamente quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà nei confronti degli animali per la loro crudeltà, ma anche quei comportamenti che incidono sulla sensibilità psicofisica dell’animale e gli procurano dolore e afflizione.
Il reato di abbandono di animali è stato ritenuto integrato anche in situazioni come la privazione di cibo, acqua e luce o le precarie condizioni di salute, di igiene e di nutrizione.
La grave sofferenza dell’animale deve essere dedotta dai modi nei quali viene custodito, che non devono conciliare con la condizione dell’animale in situazione di benessere.
La detenzione in simili condizioni dei gatti domestici, costretti in un luogo piccolo e malsano per molto tempo e senza adeguate cure, si deve ritenere incompatibile con la loro natura e produttiva di gravi sofferenze.
In passato, la Corte di Cassazione ha ritenuto colpevole il proprietario che, avendo smarrito in modo accidentale il suo cane, non si era preoccupato di denunciarne la scomparsa o di attivarsi in modo autonomo nella ricerca (Cass., sent. n. 18892 del 13 maggio 2011).
Un’altra sentenza ha stabilito che il mancato ritiro di un cane dal canile municipale nel quale era stato in precedenza affidato dal proprietario costituisce reato di abbandono di animali se sia prevedibile, a causa della notoria negligenza e inaffidabilità, che il canile proceda all’abbandono dello stesso nel caso di inadempimento del padrone (Cass., sent. n. 13338 del 10 aprile 2012).
La detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze viene equiparato all’abbandono e punito con la stessa pena.
Chiunque tiene con sé un animale, costringendolo a vivere in modo on adatto alle sue esigenze, può incorrere nel reato di abbandono di animali.
Il reato di abbandono di animali si configura ogni volta che il proprietario o chi ne ha la custodia non rivolge loro le adeguate attenzioni, lasciandoli in balia di sé stessi, con grave rischio per la loro incolumità.
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