“Ero molto fragile, succube. Lui mi ricattava e per evitare certe situazioni, stavo a quello che lui diceva”. Veronica è una donna e una mamma che per 9 anni è stata vittima di un marito violento. “Mi minacciava di morte, mi lanciava contro oggetti e sigarette accese. Vivevo nella paura di qualsiasi suo movimento. Quando i miei figli hanno cominciato a capire e mi asciugavano le lacrime, mi sono fatta forza e l’ho denunciato”. In occasione del 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, inizia così la seconda parte del doloroso racconto di questa donna di Firenze che dopo aver lasciato il tetto coniugale è stata trasferita in un istituto con i figli.
“Stando sotto lo stesso tetto la situazione era invivibile. Mi rivolsi a un’associazione e in un attimo siamo stati catapultati in un istituto. Il più grande la prese malissimo, cercò di suicidarsi buttandosi sotto una macchina. Per fortuna lo abbiamo salvato”. Dopo essere stata cacciata dall’istituto, le strade di Veronica e dei suoi figli si sono separate: i bambini vengono mandati in una comunità di rieducazione. “Ci sono voluti tre anni per riprenderli con me, in delle condizioni alquanto gravi”.
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Quella di Veronica è una storia simile a quelle di tante, troppe, altre donne. Come Sofia (nome di fantasia), oggi rifugiata in un centro dopo aver denunciato il compagno e padre dei suoi tre figli. “L’inferno rispetto a quello che ho passato in questi dieci anni è il paradiso. L’ho conosciuto nell’ambito lavorativo, era il fratello di un mio collega. Io venivo da una situazione familiare dove avevo appena perso mio padre e vivevo un periodo di fragilità. Inizialmente si discuteva, ma io non credevo che fosse pericoloso”.
“Quando sono rimasta incinta c’era la gioia del bambino, ma anche la sua gelosia morbosa” che il compagno di Sofia giustificava con “il tanto amore nei miei confronti. Da lì è iniziato l’incubo, ha iniziato a bere e drogarsi e dalla violenza verbale è passato a menarmi. Ho capito che dovevo denunciare quando ho perso mia madre, ero sola e non avevo più nessuno. Le forze dell’ordine ci dicevano di fare pace, hanno sottovalutato la nostra relazione malata. Dopo che mi ha massacrata di botte l’ho denunciato e sono entrata in un centro antiviolenza”.
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Infine, il caso di Giada Giunti, vittima di violenza dal marito e strappata dalle braccia del proprio figlio a seguito di numerosi processi penali che l’hanno investita insieme al suo ex. “La mia storia è iniziata in quel terribile febbraio del 2010, quando mi sono permessa di lasciare il mio ex marito e da lì ha iniziato la guerra contro di me. Per ammazzarmi in vita bastava allontanare mio figlio e così ha fatto”.
“Messaggi continui, stalking, minacce di morte, aggressioni, sputi in faccia, tutto davanti a mio figlio. Io ho denunciato perché le istituzioni ci invitano a farlo, ma nella maggior parte delle volte veniamo strappate dai nostri figli senza alcuna protezione. Io amo mio figlio e chiedo di stare con lui, ma sto subendo dei processi per calunnia per essermi permessa di denunciare. Chiediamo protezione, semplicemente protezione”, è l’appello di Giada in occasione del 25 novembre.
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